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VIAGGIO AMICI #13:
IL BIPOLARISMO

TORNA LA NOSTRA RUBRICA DELLA DOMENICA

La persona che ha scritto questa bellissima lettera vuole restare anonima.

È vero, non sto su una carrozzina, ho ancora la sensibilità alle mie gambe: ma certe volte resto paralizzata per giorni, come se il mio corpo mi abbandonasse. Ferma, immobile. Alcune volte urlo, cercando di alzarmi, ma non ci riesco.
Poco meno di due anni fa mi è stata diagnostica una sindrome bipolare di tipo uno, una patologia che mi ha cambiato completamente la vita. Nessuno capisce che è una vera e propria malattia, come l’influenza o un braccio rotto: quello che succede all’inizio, invece di aiutarti, è che le persone si scocciano di te. “Ma dai, siamo tutti un po’bipolari” dicono, una follia! (direste mai a qualcuno dai, abbiamo tutti un tumore?)
oppure “forza, alzati dal letto” e tu pensi che non chiedi altro, che lo vorresti da morire, ma non sai come farlo, allora ti senti stupida, cattiva, debole.
Le persone si allontanano da te perché dicono che ti lamenti e basta. Sono rimasta sul letto distesa pensando che non avevo più niente: un amico, un lavoro, una famiglia. Non c’era nessuno intorno a me. Non volevo grandi reazioni, ma solo un “hey, ciao, come va oggi”. O qualcuno che mi aiutasse ad andare da un qualcuno che ti dia la terapia giusta. E non è neanche facile trovarlo, perché nel pubblico, pur di non lavorare, ti mandano affanculo e ti dicono che stai bene. Allora devi avere tanta pazienza, troppa. Ci vuole tempo anche per quello, perché ogni corpo è diverso. Se subiamo un trauma alla gamba, andiamo dal fisioterapista? E allora perché se subiamo un trauma alla testa non andiamo dal medico?

Curatevi. Informatevi. Abbiate pazienza e fiducia. Gli scompensi chimici del cervello si possono curare.
C’è sempre un rimedio a tutto. Basta volerlo, basta cercarlo. E sopratutto circondatevi di persone che non hanno paura di voi: in realtà hanno paura di loro stesse.

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